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Dottorati di Ricerca in Azienda: quando alta formazione e imprese dialogano tra loro

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  • Linea strategica Ricerca e sviluppo
  • Tempo di lettura 4 minuti

Il bando favorisce il collegamento tra il mondo della ricerca universitaria e quello del lavoro, sviluppando attività di formazione e ricerca su tematiche di interesse comune. 

Azienda che vai, dottorando che trovi? Sì e no. Non del tutto, perché rispetto agli standard europei nel nostro Paese le imprese che ricercano figure con questo titolo di studio non sono ancora numerose. Anche sì, perché la tendenza sta cambiando e sempre più aziende riconoscono l’importanza di avvalersi di giovani con all’attivo un percorso di studi avanzati.
Il bando Dottorati di Ricerca in Azienda si propone per l’appunto di incentivare la produzione scientifica di alto livello favorendo il dialogo con il mondo produttivo del territorio.

BANDO DOTTORATI DI RICERCA IN AZIENDA

Il bando, che vede la collaborazione tra la nostra Fondazione, l’Università degli Studi di Padova, Assindustria Venetocentro, Unismart Padova Enterprise e Intesa Sanpaolo, promuove 10 borse di dottorato di ricerca a tema vincolato per progetti di ricerca finalizzati all’innovazione e allo sviluppo economico e sociale del territorio.
Le imprese presentano progetti applicati al loro settore economico, finalizzati alla realizzazione di attività di ricerca congiunte con l’Università di Padova.
La Fondazione e Intesa Sanpaolo sostengono il progetto rispettivamente con 250.000 euro e 150.000 euro, mentre ogni azienda della quale viene selezionato il progetto di ricerca concorre al co-finanziamento delle borse di studio con un contributo di 35.000 euro (50% del valore totale della borsa).

Ma cosa accade, di fatto, quando un giovane ricercatore entra in un’azienda? Come vive questa esperienza? Che contributo si prefigge di dare? E, di riflesso, che aspettative nutre un dirigente di impresa e cosa si aspetta dal dottorando?

Per saperlo, abbiamo incontrato due degli universitari che hanno vinto la borsa di studio post-lauream attivata nel 2019. Il percorso è di durata triennale e prevede la loro attività per il 50% all’interno dell’azienda che ha proposto il progetto di ricerca e per il 50% presso l’ateneo.

Un’azienda, una collina e una mente brillante

Davide Bacchin sta svolgendo il suo PhD in Brain mind and Computer science presso il Gruppo Malvestio di Villanova di Camposampiero (Pd): un’importante realtà imprenditoriale del nostro territorio. Il Gruppo Malvestio, infatti, progetta e realizza mobili e attrezzature speciali, in particolare letti da degenza e da terapia intensiva, destinati a ospedali, cliniche e strutture per la terza età. Relativamente ai letti per i reparti di rianimazione, è l’unico produttore italiano. Nel mondo se ne contano altrettanti sulle dita di una sola mano.

Nonostante questo know-how di alto livello, «abbiamo sentito la necessità di qualcuno che ci guardasse da fuori con mente fresca e libera». A dirlo è Marino Malvestio, alla guida del Gruppo con il fratello Giuseppe. «Noi siamo spinti dalle pressioni di compiere scelte in tempi brevi, e quindi a volte capita che perdiamo di vista l’obiettivo nel medio o lungo periodo. Così, quando c’è stata l’occasione di sposare questo progetto di dottorato, ci è piaciuta molto l’idea di avere una persona giovane, preparata, con delle competenze diverse dalle nostre, che ci guardasse un po’ da fuori e che insieme a noi volesse salire sulla collina e vedere un po’ più in là dell’orizzonte quotidiano».

E qui entra in gioco Davide con la sua ricerca. «Il nostro obiettivo è rendere il letto d’ospedale qualcosa che sia in grado di aiutare sia il paziente che l’operatore sanitario» ci spiega.
L’idea è dotare il letto di sensori che, collegati in una rete, registreranno in modo accurato e preciso una serie di segnali salienti: non solo sulla posizione del letto, ma anche sui comportamenti e sulla condizione fisiologica della persona distesa. Queste registrazioni verranno quindi rapidamente trasmesse a una sala di controllo, in cui gli operatori sanitari potranno recuperare in tempo reale più informazioni utili sullo stato di salute di ogni paziente.

Un po’ infermiere e un po’ caregiver, il letto ospedaliero del futuro avrà dunque un duplice scopo: consentire una migliore personalizzazione della cura del paziente e, allo stesso tempo, facilitare risposte immediate ed efficienti da parte degli operatori sanitari.

Sospettiamo che trasformare questo oggetto di supporto nella sua forma smart non sia poca cosa e che, soprattutto, metta in gioco più ambiti conoscitivi. «Il dottorato in Brain mind and Computer science è multidisciplinare» ci conferma Davide. «Accoglie il mondo delle neuroscienze, da quelle della psicologia a quelle della biologia, ma anche scienze umane, della vita, ingegneristiche ed informatiche. L’aspetto interessante è che i due moduli di base, NeuroScience e Computer Science, prevedono integrazioni tra loro. Questo fa sì che ci si abitui a lavorare con qualcun altro, riuscendo a condividere un linguaggio. E credo sia proprio questo il punto focale di un dottorato».

Il suo supervisore accademico è Luciano Gamberini, professore ordinario di Psicologia del Lavoro, direttore del Centro di Ricerca Internazionale Human Inspired Technology, al quale afferisce questo progetto di dottorato. Del docente Davide ha parole di stima e ammirazione. Così come appare in perfetta sintonia con il responsabile R&D Marcello Sardena, suo punto di riferimento in azienda, che ci guida in una visita ai reparti produttivi parlando di persone, processi e macchinari con lo stesso orgoglio di un padre che ti parla delle abilità del proprio figlio.

A fine incontro, a questo ragazzo cordiale e sorridente, capace di far convivere la biologia con l’Internet of Things, i focus group con l’interazione uomo-computer, chiediamo di riassumerci con tre aggettivi questa sua esperienza fifty-fifty tra ricerca teorica e campo applicativo.

Eccoli: «Formativa, impegnativa, abilitante».

Se anche lui, come un altro dottorando che abbiamo incontrato in un’altra azienda pone l’accento sull’impegno, una cosa pare certa: iniziative per la ricerca come queste sono un valore aggiunto per tutti.